I palestinesi protagonisti del campionato del mondo di calcio in Qatar
Sabato 17 dicembre si è conclusa, con la finale per il
terzo posto al campionato mondiale di calcio persa con la Croazia, la
straordinaria avventura dei Leoni
dell’Atlante, come in patria è soprannominata la squadra nazionale del
Marocco. Dal punto di vista sportivo, è la prima volta che una squadra africana
(e araba) ha conquistato l’accesso alle semifinali di un campionato mondiale,
per di più organizzato – sempre per la prima volta – in un Paese mediorientale.
Ma il risultato più importante esula dall’aspetto sportivo: la bandiera della Palestina, assieme ad
altri simboli per popolo palestinese come la kefiah (il tipico copricapo bianco e nero) o la dabke (la danza popolare tradizionale eseguita
in occasione di festeggiamenti, come i matrimoni), è stata presente in
innumerevoli reportage fotografici e filmati sulle partite, sui tifosi sugli
spalti, sui festeggiamenti in tutto il mondo dopo ogni insospettata vittoria
del Marocco contro le più titolate Belgio, Spagna e Portogallo.
Una visibilità globale ancora più importante se si considera che Israele vieta l’ostensione della bandiera di un popolo di cui non riconosce neppure l’esistenza storica. Visibilità che ha costretto il governo israeliano a una sospensione del divieto durante lo svolgimento dei campionati di calcio: il ministro israeliano per la sicurezza pubblica, Omer Bar-Lev, ha chiesto alla polizia di smettere di confiscare le bandiere palestinesi durante le proteste, "tranne che nei casi più estremi".
Tutto il mondo arabo – in Africa, come in Europa, negli Stati Uniti e nel Medio Oriente – ha espresso sostegno, grazie ai successi calcistici del Marocco, alla causa palestinese, mentre in Qatar c’è stata una diffusa protesta contro la “normalizzazione” dei rapporti con Israele, nazione che il Paese del Golfo non riconosce, ma cui ha concesso visti di ingresso ai giornalisti israeliani, mentre da novembre sono operativi voli diretti tra l'Israele dell'apartheid e la capitale Doha. Fra le proteste poste in atto c’è stato il rifiuto di molti tifosi arabi di apparire nelle interviste dei media israeliani, mentre altri si sono insinuati dietro i giornalisti e hanno sventolato la bandiera palestinese.
I tifosi marocchini hanno anche usato la partita del
loro paese contro la Croazia come un'opportunità per chiedere giustizia per Shireen Abu Akleh, la giornalista
palestinese-americana uccisa dalle forze israeliane all'inizio di quest'anno
mentre documentava la repressione israeliana su Jenin, nella Cisgiordania occupata.
Molti tifosi, anche successivamente, indossavano magliette con stampata l’immagine
della giornalista con il giubbotto antiproiettile dove era ben visibile la
scritta stampa, proprio nei giorni in cui il quotidiano Al Jazeera per cui
Akleh lavorava ha denunciato alla Corte Penale Internazionale il suo assassinio
da parte di un cecchino israeliano.
Ogni partita giocata dalla nazionale marocchina è stata anche l’occasione per il popolo palestinese per riversarsi in strada sventolando bandiere palestinesi e marocchine. Come nella martoriata Striscia di Gaza, dove decine di migliaia di persone hanno festeggiato la vittoria dei Leoni dell’Atlante contro il Portogallo; come a Hebron, la città della Cisgiordania occupata dove è particolarmente forte la violenza dei coloni e la repressione dell’esercito israeliano, la cui popolazione ha assistito su grandi schermi alle partite, sventolando bandiere palestinesi in segno di sfida verso gli occupanti.