Smart Working, South Working, Vacation Working

 

Il coronavirus ha concretizzato una realtà che in molti sospettavano: per la maggior parte dei lavori di ufficio, non è necessario presentarsi in un luogo di lavoro, tutti i giorni, per almeno 8 ore al giorno. Non rende meno in termini di produzione il lavoro da casa e se il lavoratore potesse avere uno spazio organizzato e una flessibilità di organizzazione oraria, favorirebbe anche una migliore gestione della vita familiare. Questo è qualcosa da tenere presente, sia in una pianificazione di breve termine - nel caso in autunno dovessimo tornare ad una forte crescita dell'epidemia - sia in una pianificazione di lungo termine, come risultato di una crescente digitalizzazione.

Ora, per tutti coloro che, dopo studi e sacrifici nelle regioni del sud Italia e delle isole, si sono trasferiti nel "triangolo d'oro" dell'industria italiana per riuscire a realizzarsi lavorativamente, il pensiero dolce potrebbe essere quello di continuare a lavorare per la propria azienda "milanese" e poter andare a cena dalla mamma nella stessa giornata.

Per molti altri, il pensiero dolce potrebbe essere quello di continuare a fare meeting online con i propri capi e colleghi, collegandosi dal lettino sulla spiaggia, dalla baita in montagna, dalla casetta con giardino nel borgo da sogno che si è visitato in un viaggio; tutti luoghi dove il 5G - faccia o non faccia male - permetterebbe di passeggiare tutti i giorni in un'area con scarsissimo inquinamento ambientale, che certamente fa bene alla salute.

Questo, in termini di produzione aziendale, non avrebbe alcun costo aggiunto, accrescerebbe la fidelizzazione del personale, inserendo una ulteriore variabile che pesa su una eventuale scelta di cambio di lavoro così come sulle richieste di aumento salariale, e renderebbe più felice il lavoratore, aumentandone la produttività - secondo il Welfare Index PMI (indice commissionato dalle associazioni imprenditoriali a Generali). Inoltre, l'azienda potrebbe pensare ad un ridimensionamento della struttura, con relativa riduzione dei costi, attrezzandola con aree di coworking per le naturali esigenze di incontri ciclici nei gruppi di lavoro o per le fasi di affiancamento a nuovi assunti, includendo magari zone all'aperto dove poter lavorare e ludoteche per bimbi. Unico inconveniente per la mentalità provinciale dell'imprenditorucolo italiano sarebbe quella di non poter controllare e governare la vita lavorativa del proprio dipendente, ma questo non è certamente un problema per chi ha una visione evoluta dell'azienda e del rapporto con i propri dipendenti/collaboratori.

In questo ripensamento delle politiche lavorative, in questo pensiero dolce, è deleterio parlare di gabbie salariali, come pure si sente sempre più spesso nella discussione politica sia da esponenti di destra che da sindaci di sinistra. Se si continua a lavorare per una "azienda milanese" mi aspetto che lo stipendio sia da "azienda milanese" ovunque io sia fisicamente. Questo perché lo stipendio è la controparte economica delle conoscenze, delle competenze e delle capacità che il lavoratore offre all'azienda, e il luogo di lavoro dovrebbe avere un compenso maggiore solo se questo risulta arrecare un danno economico, fisico o psicologico al lavoratore.

Anche l'inquinamento ambientale, acustico, luminoso, il surriscaldamento stradale dei grandi agglomerati urbani e le relative conseguenze in termini di salute troverebbero giovamento da una redistribuzione lavorativa sul territorio nazionale invece della concentrazione in poche aree industriali. Abbiamo visto tutti l'effetto della quarantena nelle grandi città; l'aria limpida, l'abbassamento delle polveri sottili, il ripopolamento da parte degli animali di aree urbane e portuali sono una possibilità di miglioramento della qualità della vita che non dobbiamo dimenticare.

In termini macroeconomici poi, la bilancia della spesa privata potrebbe essere più equamente distribuita su tutto il territorio nazionale, crescendo soprattutto in quelle zone che sono da tempo a rischio spopolamento o che vivono da troppo tempo solo di economia stagionale.

Le Barbados che, a causa della pandemia, hanno visto ridurre drasticamente il numero di turisti e quindi una buona fetta del proprio PIL nazionale, stanno incentivando e promuovendo lo smart working dei colletti bianchi americani con un visto speciale per un anno, provando a cambiare prospettiva al settore turistico. In Italia potremmo anche noi ripensare al settore turistico con una maggiore capacità di attrarre persone per periodi più lunghi. Si potrebbe pensare di fare qualcosa di simile alle Barbados con i burocrati di Bruxelles o con i colletti bianchi dei "Paesi frugali", incentivandoli a spendere per degli arrosticini nel lunch box o per una bella granita al gelso post lavoro, per il restauro di case in piccoli centri cittadini e ad apprezzare e capire meglio cosa sia la dolce vita che tanto criticano.

Qui non si tratta di incentivare un turismo di massa con gentrificazione dei centri storici di grandi città - come avviene con i troppi B&B che allontanano gli abitanti dal centro e introducono negozi turistici che commerciano prodotti made in China, a scapito di piccole attività di quartiere spesso a gestione familiare - ma di portare vita quotidiana in aree dove questa si sta perdendo; di creare attività di servizi in aree con altissima disoccupazione e spopolamento, di dare la possibilità di sviluppare intere zone dimenticate dalla politica economica e industriale nazionale

Infine, ci preme sottolineare che una redistribuzione geografica dei lavoratori, senza una redistribuzione delle aziende, incrementerebbe una economia di soli servizi in aree in cui ci sarebbe bisogno e possibilità di accrescere il PIL con investimenti industriali importanti e con grandi aziende; si tratta di aree che, pur incrementando i servizi, continuerebbero a essere connotate da un basso sviluppo industriale, con imprese di piccole dimensioni più fragili e sensibili a grandi crisi come quella del Covid-19. Ma per un cambiamento di questa portata servirebbe una visione politica di lungo respiro, che pare nessuno abbia da tempo. 

Guardiamo anche l'altro lato della medaglia o - per meglio dire - quello che una corretta riorganizzazione del lavoro dovrebbe evitare. La polarizzazione individualista che da almeno 30 anni il sistema neoliberale sta portando avanti, incrementando la frammentazione delle classi sociali e la soppressione della coscienza di classe, sia in ambito lavorativo - con la chiara volontà di diminuire il potere contrattuale dei sindacati - sia in ambito sociale, verrebbe certamente accentuata con un utilizzo improprio dello smart working, che mantiene distanziati i colleghi e non lascia distinguere facilmente tra le esigenze personali e quelle di comparto, rendendo difficoltoso esprimerle e poter intervenire adeguatamente.  

Bisogna anche considerare che lo smart working in Italia ci ha colto impreparati: è stato più che altro un telelavoro obbligato. Ci siamo ritrovati stipati con tutta la famiglia nei pochi ambienti disponibili dei nostri appartamenti, con una confusione di spazi che è travalicata anche nei tempi, confondendo orario d'ufficio e orario libero in un continuum di stress. Gli aspetti dei parametri aziendali legati alla salute, come le sedute ergonomiche, la corretta illuminazione, i dispositivi tecnologici adeguati, sono stati tutti a carico del lavoratore (costi compresi), così come sono stati azzerati quasi per tutti altri aspetti che concorrevano al reddito (es. buoni pasto o mensa aziendale). Per questo, nell'organizzare consapevolmente una nuova realtà lavorativa, bisognerà tenere presente le criticità che ci sono state durante questo 2020 e provare a risolverle.


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