“L’accordo del secolo”: come i media globali hanno messo a tacere i palestinesi
Può esistere, almeno su alcuni grandi temi, l’accesso a un’informazione libera e indipendente?
I media mainstrem conservano il loro ruolo di controllo
del potere o ne sono diventati semplici amplificatori?
In Italia siamo abituati all’informazione addomesticata dei canali televisivi pubblici lottizzati dalla maggioranza di turno e dei principali quotidiani la cui linea editoriale è spesso dettata dagli interessi dei rispettivi proprietari, quasi mai editori puri, ma restiamo convinti che i grandi media internazionali siano il campo d’azione del grande giornalismo indipendente e d’inchiesta: rimane vivo in noi il mito di Carl Bernstein e Bob Woodward che svelarono lo scandalo Watergate sulle colonne del Washington Post, costringendo il presidente Nixon alle dimissioni.
Nella sua inchiesta/rassegna stampa dedicata a come i principali media internazionali hanno comunicato (a partire dai titoli) la notizia del “piano di pace” – elaborato dal consigliere, nonché genero di Donald Trump, Jared Kushner – per risolvere, nelle intenzioni, la questione israelo-palestinese, Open Democracy smentisce questo luogo comune. La maggior parte dei quotidiani e dei programmi informativi televisivi si è limitata a riportare la narrazione imposta dal presidente statunitense che presentava la proposta come l’“accordo del secolo” e uno “storico accordo di pace”. Pochi accenni erano dedicati al grande escluso dalla trattativa, il popolo palestinese e questi pochi erano per lo più volti a stigmatizzare “il preconcetto rifiuto” palestinese ad ogni accordo.
Certo al conformismo di molti giornalisti hanno contribuito diversi fattori: il peso politico, seppure un po’ decaduto, della potenza USA; le pressioni internazionali delle lobby ebraiche e, soprattutto, la più o meno consapevole convinzione che il punto di vista occidentale fosse il migliore possibile, retaggio questo di un ancora recente passato in cui i Paesi occidentali decidevano i destini (e i confini) del resto del mondo. In questo caso però ha verosimilmente influito anche l’opportunità di poter rimuovere con un colpo di spugna la passata, decennale ipocrita difesa della soluzione dei “due Stati”. Uno scenario già improbabile settant’anni fa alla nascita di Israele, con la rivendicazione ebraica dei propri diritti sulla Terra promessa, cioè sull’intera Palestina; uno scenario divenuto impraticabile con l’occupazione da oltre mezzo secolo della Cisgiordania e della Striscia di Gaza che restituiva al popolo ebraico la terra “dal fiume al mare” (dal Giordano al Mediterraneo) e con le centinaia di insediamenti illegali di coloni israeliani nel territorio occupato.
Quest’ultima considerazione spiega anche perché al coro dei media occidentali si sia unita la stampa e la televisione araba, ben felice di riaffermare a parole il sostegno alla causa palestinese, ma a sacrificarla nei fatti in nome della realpolitik. Quindi i meida panarabi come MBC Masr, Al-Arabiya e Al-Jazeera si sono fatti fedeli interpreti degli interessi dei Paesi che li ospitano: Egitto, Emirati Arabi Uniti e Qatar preferiscono mantenere buoni rapporti con gli Stati Uniti e anche con il nemico di sempre Israele, piuttosto che difendere i diritti del popolo palestinese.
Lo stesso atteggiamento dei media internazionali, disposti a trasformarsi in passiva cassa di risonanza della narrazione statunitense, un atteggiamento registrato da Open Democracy sei mesi fa, lo ritroviamo oggi nei commenti entusiastici e nuovamente enfatici sulla normalizzazione dei rapporti fra Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Israele (ancora pronubo il presidente Trump), dove il diritto internazionale e quelli legittimi del popolo palestinese sono stati nuovamente “silenziati”.
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Le donne palestinesi partecipano a una protesta contro l'" accordo del secolo" del presidente americano Donald Trump nella città di Gaza, il 10 febbraio 2020. Foto di Majdi Fathi/NurPhoto/PA Images |
“The deal of the century”: how global media silenced the Palestinians
La copertura mediatica dell’"accordo del secolo"
è stata assordante nel suo silenzio sul diritto
internazionale e sulla prospettiva palestinese.
di Abeer Alnajjjar, 20 febbraio 2020 – openDemocracy
Il più recente caso di conformismo delle notizie internazionali sull’occupazione israeliana è stata la copertura mediatica dell’ultimo atto di teatro politico di Donald Trump e Benjamin Netanyahu, ovvero il cosiddetto “piano di pace”. La copertura del piano proposto dagli USA mostra quanto le grandi testate giornalistiche mainstream siano convinte nell’evitare ogni riferimento ai diritti palestinesi o al diritto internazionale, e ogni critica a Israele o alle sue politiche.
Il New York Times, il Washington Post, la CNN, la BBC, la Reuters, l’Associated Press (AP) e altri hanno riportato l’“accordo del secolo” come un “piano di pace”, anche se molti nella comunità internazionale sapevano che non ci si aspettava alcuna pace dal piano proposto. Eppure il termine “piano di pace” è apparso in molti titoli di importanti pubblicazioni, tra cui il New York Times, la CNN, la BBC, l’AP, l’agenzia Reuters e altri.
I primi rapporti includevano nei loro titoli sia “piano di pace” che “accordo del secolo”. In diversi servizi giornalistici, i giornalisti non sono riusciti a usare costantemente le virgolette o qualsiasi altro meccanismo per differenziare questi termini caricati politicamente dalle notizie o per contestualizzarli come discorso politico. Insieme al New York Times, all’AP e ad altri, BBC World non ha posto le virgolette intorno al “piano di pace”, ma le ha poste intorno al “trattato del secolo”.
Sky News è stato uno dei pochissimi a usare le virgolette per il “piano di pace”, una chiara indicazione di correttezza giornalistica e di difesa contro la manipolazione politica. Questo correttezza è poi cambiata, dato che Sky News ha smesso di usare le virgolette pochi giorni dopo. Il cambiamento ha forse seguito una modifica nella politica editoriale del canale televisivo, come risultato del monitoraggio su come altri canali avevano scritto i titoli delle loro storie.
Quando i discorsi politici provengono da fonti palestinesi o anche dall’UE, le agenzie di stampa, tra cui Sky News e Reuters, usano con cautela le virgolette. Sky News ha riferito che “il piano, annunciato la scorsa settimana, si discosta dai parametri concordati a livello internazionale intorno a una soluzione a due Stati”, mentre l’Ue aveva detto: come se questi parametri non fossero di comune conoscenza del conflitto . Lo stesso canale ha anche pubblicato il titolo: “Il piano di pace di Trump ha elementi di apartheid, dice il funzionario palestinese,” mentre il sottotitolo riportava: “Saeb Erekat dice che il cosiddetto accordo del secolo è un chiaro tentativo di uccidere gli accordi di pace di Oslo”.
Anche Reuters e la BBC sono caduti nella trappola dell’utilizzo di traslati propagati dall’amministrazione Trump. Due dei traslati più diffusi, ma raramente esaminati dai media, sono che i palestinesi rifiutano qualsiasi iniziativa di pace e che Israele desidera e si impegna per la pace. I diritti dei palestinesi riconosciuti a livello internazionale nei confini precedenti al 1967 sono stati definiti “rivendicazioni”, “ambizioni” e “speranze” palestinesi. La notizia principale della Reuters sulla proposta americana recita: “I palestinesi tagliano i legami con Israele e Stati Uniti dopo aver rifiutato il piano di pace”.
La BBC World ha seguito l’esempio dando risalto ai titoli dei giornali dettati dal discorso politico di Trump, Netanyahu e Jared Kushner.
La storia principale del New York Times su questo evento ha usato un linguaggio ambiguo: il titolo del resoconto afferma che il piano avrebbe “dato a Israele la maggior parte di ciò che cercava... offrendo al contempo ai palestinesi la possibilità di uno Stato con sovranità limitata”. I giornalisti descrivono poi la Valle del fiume Giordano, occupata nel 1967, come “strategicamente importante” per Israele. Si riferiscono alla prevista annessione da parte di Israele degli insediamenti illegali nel territorio occupato della Cisgiordania senza menzionare l’occupazione o i confini del 1967.
Gli insediamenti non sono descritti come "illegali"e la Cisgiordania non è descritta come "territori occupati".
La contestualizzazione è rara nella copertura delle notizie e l’analisi è limitata, a parte rare occasioni in cui le parole chiave sono nascoste alla fine di un articolo. Gli insediamenti non sono descritti come “illegali” e la Cisgiordania non è descritta come “territori occupati”. I confini del 1967 non sono menzionati, né lo sono i “rifugiati” palestinesi. AP News descrive il congelamento di quattro anni raccomandato per l’espansione degli insediamenti israeliani come una “concessione”, e omette di menzionare che la Cisgiordania è occupata o si riferisce alla crescita degli insediamenti israeliani o al loro impatto sulla proposta “entità palestinese” chiamata “Stato”. Anche il Washington Post si riferisce ai territori occupati come se fossero stati “conquistati” nel 1967, piuttosto che “occupati”.
Il Washington Post ha invocato la prospettiva palestinese nel suo titolo: “In Cisgiordania, il piano di Trump ha convalidato i sogni dei coloni e schiacciato le speranze dei palestinesi”, due giorni dopo l’annuncio di Trump e Netanyahu. Questo articolo, tuttavia, è dedicato a un colono israeliano nella Cisgiordania occupata e riporta puntualmente i riferimenti biblici delle sue affermazioni. La prospettiva palestinese è al secondo posto, se non al terzo posto, nell’articolo. L’occupazione è menzionata una sola volta nel lungo pezzo, ricco invece di dettagli archeologici e biblici sul legame dei coloni con la Cisgiordania. Così facendo, il giornale ha legittimato le rivendicazioni dei coloni in Cisgiordania occupata, ha emarginato il diritto internazionale e ha dipinto i diritti dei palestinesi come secondari rispetto a quelli dei coloni.
I media hanno permesso a Trump, Netanyahu e Kushner di delegittimare i palestinesi come un gruppo emotivo senza una visione strategica e di metterli a tacere usando il discorso imperiale che li presenta come un gruppo irrazionale di persone che hanno bisogno sia di essere guidate che controllate nella rabbia. Il New York Times ha dichiarato che l’annessione israeliana della Valle del Giordano e gli insediamenti illegali di Israele “sicuramente infiammeranno ulteriormente i palestinesi”. Anche l’Associated Press ha riferito che “il piano di pace Trump delizia gli israeliani, fa infuriare i palestinesi”. Il Washington Post ha usato un linguaggio simile.
Diverse fonti, tra cui il Washington Post e il New York Times, hanno riportato la notizia dell’AP intitolata “I palestinesi arrabbiati si trovano di fronte a un dilemma nel rispondere al Piano Trump”. Il New York Times ha successivamente cancellato la storia dal suo sito web.
Il giorno dell’annuncio del piano di Trump, in un’intervista a Husam Zomlat, il capo diplomatico palestinese nel Regno Unito, la conduttrice della BBC Emily Maitlis lo ha interrotto più volte per chiedergli se avesse letto le ottanta pagine della proposta. Non ha avuto nemmeno la pazienza di ascoltare il suo punto di vista, rappresentativo di quello ufficiale palestinese. Allo stesso modo, Christiane Amanpour ha interrogato il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh sulla corruzione nell’Autorità palestinese, sulla disunione politica dei palestinesi e sull’“approccio respingente” a tutte le proposte di pace.
I giornalisti si sono inoltre astenuti daqualsiasi critica a Israele, all’occupazioneo alle sue politiche discriminatorie
D’altra parte, le dichiarazioni di Trump, Netanyahu e Kushner hanno dominato i media con poche interruzioni, contestazioni o critiche. I giornalisti non li hanno contestati per aver dettato una proposta umiliante ai palestinesi o per aver sostenuto che il problema dei palestinesi sia solo economico per giocare la carta della parte economica dell’“accordo del secolo”. I giornalisti si sono anche astenuti
da qualsiasi critica a Israele, all’occupazione o alle sue politiche discriminatorie per soggiogare i palestinesi o dal mettere in discussione la sua completa accettazione dell’accordo.
I gruppi filo-israeliani hanno costantemente lavorato per identificare l’ebraismo con Israele e delegittimare come “antisemiti” i politici e i giornalisti che mettono in discussione o criticano le politiche discriminatorie di Israele contro i palestinesi o la sua occupazione della Cisgiordania. L’idea che criticare Israele non possa essere altro che antisemita è uno degli argomenti più comuni diffusi dai media israeliani.
I media israeliani equiparano anche il sionismo al semitismo, il che significa che ogni critica ai sionisti è antisemita. Recentemente, la corrispondente della BBC Middle East Orla Guerin, veterana della BBC, ha fatto riferimento al conflitto israelo-palestinese nel suo reportage sull’Olocausto. Verso la fine della trasmissione, mentre mostrava l’ingresso di soldati israeliani nella Memorial Hall, Guerin ha detto:
“I giovani soldati si sono radunati per condividere la tragedia che unisce il popolo ebraico. Lo Stato di Israele è ora una potenza regionale. Per decenni ha occupato i territori palestinesi. Ma alcuni qui vedranno sempre la loro nazione attraverso la lente deformante della persecuzione e della sopravvivenza”. Una campagna contro la BBC e la giornalista è stata lanciata dal Board of Deputies degli ebrei britannici, la Campagna contro l’antisemitismo e altri, per screditare la reporter e affermare il carattere preconcetto e antisemita del reportage. Si sono lamentati con la BBC e hanno minacciato di sottoporre la questione all’autorità garante delle telecomunicazioni, l’Ofcom.
Il pregiudizio contro i palestinesi infetta le notizie arabe
Ci sono buone probabilità che la copertura mediatica araba sia orchestrata dall’amministrazione americana, dai suoi alleati e dai suoi agenti nella regione attraverso il controllo statale o il contatto diretto con i media. All’inizio di quest’anno sono apparse notizie di un’azione statunitense volta a migliorare la propria immagine presso i più influenti media arabi e la considerazione nei confronti dell’amministrazione e della politica regionale degli Stati Uniti.
I giornalisti arabi non hanno posto domandesui diritti dei rifugiati, sui confini, su Gerusalemme Est,e su quale tipo di “Stato” avrebbero avuto i palestinesi
La maggior parte dei media panarabi non ha riferito con precisione la visione palestinese del piano, in quanto molte emittenti di lingua araba hanno fornito una copertura orchestrata dell’accordo anche quando lo criticavano. La notizia si è diffusa su un gruppo WhatsApp di editori egiziani che hanno ricevuto indicazioni da un’agenzia di stato egiziana per la loro reportistica: non usate “l’accordo del secolo”, usate “piano di pace”; evitate di coinvolgere Al Azhar (l’autorità religiosa egiziana) nella copertura e, naturalmente, lodate il ruolo storico dell’Egitto nel sostenere i palestinesi. Sky News Arabia, il canale di notizie panarabo, ha riportato la proposta di Trump come “piano di pace” senza virgolette e si è astenuto dall’usare l’espressione “accordo del secolo”.
In tutte le interviste a Jared Kushner, i giornalisti arabi non hanno posto domande sui diritti dei rifugiati, sui confini, su Gerusalemme Est, e su quale tipo di “Stato” avrebbero avuto i palestinesi. Al Jazeera (in inglese e in arabo) e Al-Arabiya hanno concesso a Kushner uno spazio incontrastato il giorno dell’annuncio; il canale televisivo MBC Masr gli ha concesso un tempo di trasmissione prolungato perché potesse spiegare il suo piano al pubblico arabo. La copertura mediatica dell’“accordo del secolo” è stata assordante nel suo silenzio sul diritto internazionale e le prospettive per i palestinesi, i loro diritti e l’assenza nel piano proposto di quanto a livello internazionale è sempre stato loro riconosciuto.
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