COVID-19 non è una pandemia
Mentre il mondo ha superato il milione di morti per COVID-19, dobbiamo affrontare il fatto che stiamo adottando un approccio troppo limitato nel gestire la pandemia del nuovo coronavirus.
L’editoriale del direttore di The Lancet, Richard Horton, propone un nuovo approccio al problema suscitato da Covid-19 nel mondo, ovvero l’approccio sindemico: in sostanza, si tratta di spostare il focus dal virus e dalla sua diffusione alla popolazione che ne subisce gli effetti. È noto, infatti, che fattori di rischio per lo sviluppo di una forma grave della malattia sono patologie come il diabete, l’obesità, l’ipertensione e altre classificabili come NCD (malattie non trasmissibili). È altresì noto che tali patologie sono più frequenti col peggiorare delle condizioni socio-economiche, osservandosi correlazioni con reddito basso e scarso livello d’istruzione. Una epidemia come l’attuale, quindi, tende a colpire in maniera maggiore le persone che partono più svantaggiate, come già evidenziato in un nostro precedente post.
Gli interventi per la diminuzione dei danni causati dall’epidemia non dovrebbero perciò rivolgersi solo alla medicina d’emergenza e alla creazione di nuovi farmaci in grado di combattere il virus, ma anche a migliorare le condizioni di salute delle persone attraverso interventi preventivi, sia aventi come target le NCD che gli ambienti di lavoro, gli alloggi, i trasporti, già dimostratisi forte veicolo d’infezione (un esempio per tutti: i macelli) e la qualità di vita in generale.
Occorrono vari cambiamenti strutturali, a partire dal rafforzamento della medicina territoriale, oggi sempre più sacrificata in favore della centralizzazione negli ospedali, che si sono dimostrati veicoli di contagio oltre che soggetti a rapida saturazione in caso di epidemia e perciò impossibilitati a intervenire nelle fasi precoci della malattia, nonché a curare i pazienti che necessitano di altro tipo di interventi e che potrebbero essere più efficacemente presi in carico da ambulatori diffusi sul territorio.
Ciò anche in previsione delle epidemie che verranno e che nell’ultimo ventennio si sono fatte sempre più frequenti (vedi aviaria, suina, SARS, MERS…), frutto dello spillover tra animali e uomo in seguito all’antropizzazione di sempre più estesi territori (e quindi al contatto dell’uomo con gli animali selvatici che vi abitano) e alla crescita degli allevamenti intensivi, nonché alla globalizzazione dei contatti in un mondo sempre più connesso. Dobbiamo farci trovare pronti.
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di Richard Horton, 26 settembre 2020 – The Lancet
Mentre il mondo si avvicina a 1 milione di morti per COVID-19, dobbiamo affrontare il fatto che stiamo adottando un approccio troppo limitato nel gestire la pandemia del nuovo coronavirus. Abbiamo visto la causa di questa crisi in una malattia infettiva. Tutti i nostri interventi si sono concentrati sull’interruzione delle linee di trasmissione virale, controllando così la diffusione del patogeno. La "scienza" che ha guidato i governi è stata orientata principalmente da creatori di modelli di diffusione epidemica e specialisti di malattie infettive, che comprensibilmente inquadrano l'attuale emergenza sanitaria in termini di epidemia, come si fa da secoli. Ma quello che abbiamo imparato finora ci dice che la storia di COVID-19 non è così semplice. Due tipi di malattia interagiscono all'interno di popolazioni specifiche: l'infezione causata dalla sindrome respiratoria acuta legata al coronavirus 2 (SARS-CoV-2) e una serie di malattie non trasmissibili (Non-Communicable Diseases, NCD). Queste patologie si concentrano all'interno dei gruppi sociali seguendo schemi di disuguaglianza profondamente radicati nelle nostre società. L’azione contemporanea di queste malattie su uno sfondo di disparità sociale ed economica esaspera gli effetti negativi di ogni singola patologia. COVID-19 non è una pandemia. È una sindemia. La natura sindemica del pericolo che stiamo affrontando significa che è necessario un approccio più complesso se vogliamo proteggere la salute delle nostre comunità.
La nozione di sindemia è stata introdotta da Merrill Singer, un americano esperto di antropologia medica, negli anni '90. Scrivendo su The Lancet nel 2017, insieme a Emily Mendenhall e altri, Singer ha sostenuto che l’approccio sindemico rivela interazioni biologiche e sociali importanti per la prognosi, il trattamento e gli indirizzi di pratica sanitaria. Limitare il danno causato dal SARS-CoV-2 richiederà un'attenzione di gran lunga maggiore alle malattie non trasmissibili e alla disuguaglianza socioeconomica di quanto sia stato finora riconosciuto. Una sindemia non è semplicemente una comorbilità. Le sindemie sono caratterizzate da interazioni biologiche e sociali tra malattie e condizioni preesistenti, interazioni che aumentano la suscettibilità delle persone alla compromissione o al peggioramento del proprio stato di salute. Nel caso di COVID-19, combattere le malattie non trasmissibili è il prerequisito per la riuscita del contenimento. Come mostrato dal da noi recentemente pubblicato NCD Countdown 2030, sebbene la mortalità prematura dovuta alle malattie non trasmissibili stia calando, la diminuzione è troppo lenta. Il totale delle persone affette da malattie croniche è in crescita. Affrontare COVID-19 significa affrontare l'ipertensione, l'obesità, il diabete, le malattie respiratorie croniche, quelle cardiovascolari e il cancro. Prestare maggiore attenzione alle NCD non è compito solo delle nazioni più ricche. Le malattie non trasmissibili sono causa trascurata di cattiva salute anche nei Paesi più poveri. Nella loro relazione per la Lancet Commission, pubblicata la scorsa settimana, Gene Bukhman e Ana Mocumbi hanno descritto ciò che hanno chiamato NCDI Poverty, aggiungendo all’elenco delle malattie non trasmissibili patologie come l’avvelenamento da morsi di serpente, l’epilessia, le malattie renali e l’anemia falciforme. Per il miliardo di persone più povere nel mondo, oggi, le NCD rappresentano oltre un terzo dell’insieme delle patologie di cui soffrono. La Commissione ha descritto come la disponibilità di interventi efficaci ed economici nel prossimo decennio potrebbe evitare quasi 5 milioni di morti tra le persone più povere del mondo. E questo senza considerare la diminuzione del rischio di morte per COVID-19.
La conseguenza più importante della visione sindemica di COVID-19 sta nel sottolineare le sue componenti sociali. La vulnerabilità dei cittadini più anziani, delle comunità etniche nere, asiatiche e minoritarie, dei lavoratori essenziali abitualmente mal pagati e con meno protezioni sociali indica una verità finora scarsamente riconosciuta - vale a dire, che non importa quanto sia efficace un trattamento o protettivo un vaccino, la ricerca di una soluzione puramente biomedica al COVID-19 è destinata a fallire. A meno che i governi non si impegnino in politiche e programmi per combattere le gravi disuguaglianze economiche e sociali, le nostre società non saranno mai veramente al sicuro dal COVID-19. Come hanno scritto Singer e altri nel 2017, "L’approccio sindemico fornisce un orientamento molto diverso alla medicina clinica e alla salute pubblica, mostrando come un approccio integrato alla comprensione e al trattamento delle malattie può avere molto più successo rispetto al semplice controllo dell’epidemia e al trattamento del singolo paziente". Aggiungerei un ulteriore vantaggio. Le nostre società hanno bisogno di speranza. La crisi economica che sta sopraggiungendo non sarà risolta da un farmaco o da un vaccino. Occorre una rinascita a livello nazionale. L’approccio sindemico a COVID-19 stimola una visione più ampia, che comprende istruzione, occupazione, casa, cibo e ambiente. Vedere COVID-19 solo come pandemia esclude questa più ampia ma necessaria prospettiva.
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Richard Charles Horton è direttore di The Lancet, la prestigiosa rivista medica britannica, e professore onorario presso la London School of Hygiene and Tropical Medicine della University College London, oltre che presso l'Università di Oslo.
Nel 2003 ha pubblicato Second Opinion: Doctors, Diseases and Decisions in Modern Medicine , un libro sulle controversie della medicina moderna. Nel 2005 ha scritto per il Royal College of Physicians " Doctors in society: medical professionalism in a changing world", un'inchiesta sul futuro della professionalità medica. Recentissimo è il suo ultimo lavoro, pubblicato anche in italiano: The COVID-19 Catastrophe: What's Gone Wrong and How to Stop It Happening Again . Ha anche ricoperto diversi ruoli nell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

