La guerra e la comunità internazionale



Il 2 marzo scorso, una settimana dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione di dura condanna dell’aggressione con 141 voti favorevoli, appena 5 contrari (Bielorussia, Corea del Nord, Eritrea, Siria e – ovviamente – Federazione Russa) e 35 astensioni, mentre i rappresentanti di 12 Paesi membri erano assenti.

Il 24 marzo, tre settimane dopo, l’Assemblea generale era stata convocata per votare una nuova risoluzione che raccomandava agli Stati membri di fornire aiuti umanitari al popolo ucraino aggredito. La bozza di risoluzione predisposta dal Sudafrica non è stata però messa ai voti per la ferma opposizione del rappresentante ucraino che lamentava l’assenza nel testo di una nuova, ferma condanna dell’aggressione russa. Una nuova risoluzione, riformulata da Francia e Messico comprendendo parte del contenuto di quella del 2 marzo e presentata al voto dagli Stati Uniti, è stata approvata con una maggioranza simile alla precedente: 140 voti favorevoli, i medesimi 5 voti contrari, 38 astensioni, mentre i Paesi assenti sono scesi a 10. Verosimilmente, se la risoluzione fosse stata limitata ai soli aiuti umanitari, i voti favorevoli sarebbero stati di più: il Sudafrica, per esempio, si è astenuto sul nuovo testo.

Sui media come nei commenti dei politici occidentali l’accento, in entrambi i casi, è stato posto sul massiccio schieramento dei Paesi del mondo contro l’invasione: “Al voto, storico per la sua quasi unanimità (anche da parte di paesi normalmente vicini alla Russia), è seguito un lungo applauso.”; “Questo storico voto dell'Onu dà un forte messaggio contro l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Il mondo ha massicciamente rigettato questa ingiustificata aggressione.” Questa interpretazione del voto non è del tutto corretta, ma ci si ritornerà più avanti.


Tra il 29 febbraio e il 1 aprile 2022, quindi durante il conflitto russo-ucraino, si è tenuta a Ginevra la 49esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani, dove sono eletti periodicamente a rotazione 47 Stati membri dell’ONU. Durante i lavori non si è ritenuto di affrontare il tema di violazioni dei diritti umani durante l’invasione russa dell’Ucraina per mancanza di indagini indipendenti che potessero corroborare eventuali crimini commessi da parte di uno o entrambi gli eserciti belligeranti; eppure, meno di una settimana dopo la fine dei lavori, sull’onda delle emozioni provocate dalle immagini provenienti da Bucha, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la sospensione della Federazione Russa dal Consiglio dei Diritti Umani.

Ma il risultato è stato molto diverso dalle due risoluzioni precedenti: solo 93 voti favorevoli, ben 24 contrari, 58 astensioni e 18 assenti. Il rappresentante di Cuba all’ONU, Pedro L. Pedroso Cuesta, nella dichiarazione di voto sulla sospensione della Russia dal Consiglio per i Diritti Umani, ha giustamente rimarcato che i diritti di un membro del Consiglio possono essere sospesi per volontà di un numero ancora minore di Stati rispetto a quelli che hanno deciso di eleggerlo e di concedergli tali diritti. Infatti se per l’ammissione di uno Stato membro al Consiglio è necessaria (come anche nelle due risoluzioni sul conflitto ucraino) l’approvazione dei due terzi degli Stati membri (la Federazione Russa fu ammessa al Consiglio con 158 voti favorevoli), per la sua sospensione è sufficiente la maggioranza di due terzi dei votanti (quindi con l’esclusione dal conteggio degli astenuti e degli assenti). Questa clausola può consentire la sospensione di un qualsiasi Stato anche solo con un pugno di voti e c'è un grave rischio che venga utilizzata da alcuni paesi che privilegiano il doppio standard, selettività e politicizzazione delle questioni relative ai diritti umani.

Pedroso Cuesta ha anche lamentato che nella discussione non sia stato coinvolto lo stesso Consiglio per i Diritti Umani che pure era riunito fino a pochi giorni prima, dove nessuno aveva richiesto di discutere su presunte violazioni dei diritti umani da parte della Russia. Ma la considerazione più importante per motivare il voto contrario di Cuba alla risoluzione è stata: “Il ricorso alla clausola di sospensione dei membri del Consiglio non favorirà in alcun modo la ricerca di una soluzione pacifica, negoziata e duratura del conflitto in Ucraina; e tanto meno contribuirà a favorire il clima di cooperazione, dialogo e comprensione che deve prevalere nell'affrontare la questione dei diritti umani”. 


Considerato incidentalmente che fra i Paesi favorevoli alla sospensione ci sono tutti i quattro membri (Canada, Israele, Papua e Stati Uniti) che avevano nel 2006 votato contro l’istituzione del Consiglio, va rilevato che la risoluzione è stata approvata:

  • da meno della metà dei Paesi membri delle Nazioni Unite (48,2%);

  • da sole quattro (Francia, Gran Bretagna, Israele e Stati Uniti) delle nove potenze nucleari (Cina, Corea del Nord e Federazione Russa hanno votato contro, mentre India e Pakistan si sono astenuti);

  • da paesi che rappresentano meno di un quarto (23,5%) della popolazione mondiale.


Se si applica questo metodo anche alle due risoluzioni del 2 e del 24 marzo di condanna dell’invasione russa si può constatare che il consenso è stato meno unanime. Infatti le risoluzioni sono state approvate:

  • da poco meno dei tre quarti dei Paesi membri delle Nazioni Unite (rispettivamente il 73,1% e il 72,5%);

  • da sole quattro (Francia, Gran Bretagna, Israele e Stati Uniti) delle nove potenze nucleari (Corea del Nord e Federazione Russa hanno votato contro, mentre Cina, India e Pakistan si sono astenuti);

  • da paesi che rappresentano meno della metà (rispettivamente il 42,2% e il 44,4%) della popolazione mondiale.

Ovviamente il riferimento alla dimensione demografica dei Paesi votanti le risoluzioni non intende metterne in dubbio la validità, anche se le risoluzioni dell’Assemblea – contrariamente a quelle del Consiglio di Sicurezza – non sono vincolanti, in quanto fin dalla sua istituzione, all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale, le Nazioni Unite hanno deciso di dare voce a ogni Paese membro, indipendentemente dalla sua importanza geografica, demografica o economica. Tuttavia solo alle superpotenze vincitrici della guerra (Cina, Francia, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti), poi diventate tutte dotate di armamenti nucleari, è stato concesso il diritto di veto, per un motivo che appare evidente (anche se il presidente Zelensky, quando chiede la rimozione della Russia dal Consiglio di Sicurezza non pare capirlo): nessuna decisione dell’ONU potrà mai essere applicata se uno di questi cinque Paesi è contrario. Ma nella risoluzione sulla sospensione della Federazione Russa dal Consiglio dei Diritti Umani è importante rimarcare sia il numero che la collocazione geografica dei Paesi in base al loro voto (favorevole, contrario, astenuto).

Se le prime due risoluzioni affrontavano dichiaratamente (la seconda solo dopo l’intervento dell’ambasciatore ucraino) la condanna dell’invasione russa a uno Stato sovrano come l’Ucraina, fatto che monopolizza l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, la terza sottende un secondo conflitto che si potrebbe definire strategico, cioè la guerra fra USA e Russia, combattuta solo parzialmente sul piano militare (con il supporto dell’intelligence statunitense e degli ingenti armamenti forniti dagli USA in questi anni all’esercito ucraino), ma anche sui piani comunicativo (il rilancio e, a volte, l’anticipo della propaganda ucraina da parte degli Stati Uniti) ed economico-finanziario (le sanzioni). E qui la carta del mondo - che al tempo della guerra fredda eravamo abituati a vedere come la contrapposizione fra democrazie capitalistiche (l’Occidente) e paesi comunisti e del socialismo reale (l’Oriente) - mostra una nuova divisione fra Paesi occidentali e resto del mondo.

La divisione del voto sulla risoluzione del 7 aprile mostra plasticamente la più generale contrapposizione fra l’unilateralismo economico/militare degli Stati Uniti e dei suoi alleati occidentali e la posizione multilaterale che sta attraendo gran parte dei Paesi africani, asiatici e latino-americani, che da anni intrattengono stretti rapporti politici ed economici con Cina (protagonista con gli USA del terzo conflitto, sotteso a quelli russo-ucraino e russo-americano) e Federazione Russa. Come sottolinea l’ex generale Antonio Li Gobbi, già direttore delle operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della Nato, «non solo Usa e Ue hanno ricevuto una risposta diplomatica abbastanza sprezzante da parte di Pechino quando hanno chiesto alla Cina di voltare le spalle al loro alleato russo, ma anche i Paesi Opec hanno dimostrato estrema freddezza nei confronti delle richieste statunitensi di incrementare le loro estrazioni per compensare il bando imposto all’acquisto di greggio e gas russo. In sintesi, l’iniziativa statunitense non pare accogliere consenso da nessun altro Paese significativo di Asia, Africa o America Latina. Continenti questi dove il concetto di “invasore” e di “guerra di aggressione” viene quasi sempre correlato agli Usa o al massimo alle passate mire imperiali e coloniali di Paesi europei (Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Italia) o asiatici (Giappone) oggi tutti schierati con Washington.»

La nuova divisione fra Paesi Occidentali e resto del mondo traspariva, seppure in modo assai meno evidente – dal momento che in questi due casi si condannava un’invasione contraria al diritto internazionale - anche dalla distribuzione geografica del voto nelle prime due risoluzioni.

Se lo scopo degli Stati Uniti era quello di isolare dalla comunità internazionale la Federazione Russa e – contestualmente – inviare un monito alla Cina, affermando così l’egemonia economico-militare degli USA e dei suoi alleati nella NATO, la mappa del voto del 7 aprile suggerisce che questo doppio obiettivo non verrà verosimilmente raggiunto e che, al contrario, il mondo sembra avviarsi verso una contrapposizione fra due aree di influenza: quella legata al capitalismo neoliberista dell’Occidente e quella invece legata al “capitalismo statale” promosso dalla Cina, forse affiancata - in un futuro imprecisato - dalla Russia. L’esatto contrario della narrazione di queste settimane da parte dei media e dei leader politici occidentali.

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