Israele: il genocidio di Gaza nasconde l’annessione strisciante della Cisgiordania

 

A sinistra: sfollamento di palestinesi a Khan Yunis, nella Striscia di Gaza; a destra: sfollamento di palestinesi a Jenin, in Cisgiordania; al centro: illustrazione di Menahem Halberstadt per il Piano decisivo per Israele del 2016


Il genocidio operato da Israele nella Striscia di Gaza è sempre l’avvenimento più importante che – ormai da 650 giorni – occupa l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale in riferimento al Medio Oriente. È vero, talvolta ciò che accade a Gaza diventa secondario, di fronte all’apertura di nuovi fronti di conflitto in Libano prima, poi con l’Iran, ora in Siria. Ma l’entità dell’eccidio perpetrato dall’esercito israeliano è tale – 60mila morti per il Ministero della Salute gazawo, ma altre stime parlano di 100mila, 160mila, 300mila o anche 500mila vittime, senza contare i feriti, gli amputati, gli orfani soprattutto bambini – da far concentrare tutto il conflitto israelo-palestinese in quella sottile striscia di terra.

Per Bennett le violenze dei coloni israeliani sono «insignificanti» | il  manifesto

Nessuno parla della Cisgiordania, sebbene anche qui abbondino assassini, bombardamenti, raid dell’esercito occupante, detenzioni arbitrarie, distruzioni di villaggi e campi profughi, violenze da parte di coloni ebrei, ignorati, quando non supportati, dall’IDF.

Un sondaggio, promosso lo scorso marzo dall’Università di Tel Aviv su un campione rappresentativo dell’opinione pubblica israeliana, riporta che il 53% degli ebrei israeliani – non considerando gli arabi israeliani – è a favore dell’espulsione dei palestinesi da Gaza e che due terzi degli intervistati si sente minacciato nella propria sicurezza dalla presenza araba in Palestina.

Alla luce di questi dati, risulta evidente  che buona parte dell’opinione pubblica israeliana pensi a un’Israele popolata dal solo popolo ebraico, che occupi l’intera Palestina “dal Giordano al mare”. È importante capire che il progetto di una Grande Israele interessa marginalmente Gaza e si basa principalmente sull’annessione di Giudea e Samaria, come gli ebrei chiamano la Cisgiordania.

Nove anni fa Bezalel Smotrich (attuale Ministro delle Finanze israeliano e responsabile degli insediamenti nella Cisgiordania), all'epoca giovane ancora poco noto deputato al suo primo mandato alla Knesset, presentò un piano decisivo per Israele (chiamarlo “soluzione finale” sarebbe stato decisamente inopportuno) intitolato “L’unica speranza”. In cosa consisteva il piano? L’autore ricorda che “per più di cento anni di sionismo, il Popolo ebraico è stato costretto a condurre una lotta per il suo stesso diritto alla sovranità come nazione rinnovata nella Terra d’Israele.” Questa lotta è consistita nel contrastare “residenti che rifiutano di riconoscere il diritto fondamentale dello Stato d’Israele a esistere come Stato del Popolo ebraico (…), cercando di stabilire uno Stato arabo all’interno dei confini del 1967. 

“Spero che i lettori concordino con l’affermazione che, in quanto ebrei, non dovremmo rinunciare alla nostra aspirazione nazionale a uno Stato indipendente nella Terra d’Israele. Per questo, la parte che dovrà rinunciare all’aspirazione di realizzare un’identità nazionale in Terra d’Israele è quella araba.”

Giudea e Samaria e la posta in gioco

Il piano si articola in tre fasi:

1.   espansione ebraica in Giudea-Samaria/Cisgiordania, attraverso la moltiplicazione degli insediamenti e l’immigrazione di centinaia di migliaia di ebrei; quindi un’espansione sia demografica che territoriale; ai palestinesi che accetteranno l’annessione della loro terra sarà concessa un’autonomia limitata al territorio in cui abitano, senza che questo comporti né la residenza né la cittadinanza israeliana: su questo punto l’autore del piano rifiuta il termine “apartheid”, definendo il nuovo status “democrazia limitata”;

2.   l’emigrazione, alias espulsione forzata, è prevista per chi non accetterà la nuova situazione: potranno emigrare in un Paese arabo vicino, oppure in Europa o negli Stati Uniti;

3.   chi poi non accetterà l’annessione e vi si opporrà con la forza delle armi verrà sconfitto ed eliminato dall’esercito israeliano.

Il piano si pone anche il problema dell’atteggiamento della comunità internazionale nei confronti di questa “soluzione” del conflitto israelo-palestinese:

- essendo Israele dalla parte della “giustizia” e della “democrazia” si ha fiducia che il mondo comprenda le ragioni israeliane e ne condivida le soluzioni;

- ulteriore argomento è la “natura irrealistica della soluzione dei due Stati”;

- a chi non fosse d'accordo si può rispondere come fece il defunto primo ministro Menachem Begin: «se c’è qualcuno al mondo che storce il naso verso di noi, che stia pure con il naso all’insù!».

Dopo il 7 ottobre 2023, il Piano, per quanto riguarda Gaza, è stato ridotto all’ultimatum “espulsione o annientamento”, mentre per la Cisgiordania è rimasto invariato: annessione, con le buone o le cattive, dell’intera Giudea e Samaria.

Quando, durante un incontro in cui ha presentato il suo Piano a esponenti religioso-sionisti, gli è stato chiesto se la repressione dei palestinesi che si opponessero al Piano con le armi comprendesse anche uccidere famiglie, donne e bambini, Smotrich ha risposto: “La guerra è guerra”.

Va in questa direzione la decisione dello scorso maggio di autorizzare 22 nuovi insediamenti in Cisgiordania, con la legalizzazione di dodici avamposti esistenti, la costruzione di nove nuovi insediamenti e lo sdoppiamento in due di una colonia divenuta troppo estesa. 

Come riporta Euronews, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dichiarato che la nuova iniziativa di insediamento "rafforza la nostra sovranità su Giudea e Samaria", usando il riferimento biblico di Israele per la Cisgiordania. Il ministro israeliano ha descritto la decisione come una misura strategica per "consolidare i nostri diritti storici" e come una "risposta ferma al terrorismo palestinese".

Inoltre l’11 maggio il Gabinetto di sicurezza israeliano, sei giorni dopo aver approvato l’occupazione dell’intera Striscia di Gaza a tempo indeterminato, ha deciso di riprendere il processo di accatastamento per i terreni nell’Area C della Cisgiordania, dopo decenni di congelamento. 

Perché è molto importante questa decisione? Perché segna il passaggio de facto dall'occupazione militare della Cisgiordania alla sua annessione allo Stato di Israele.

Dopo gli accordi di Oslo del 1993, la Cisgiordania è stata suddivisa in tre zone: A, B e C.

A.   La zona A è costituita dalle aree urbane abitate pressoché interamente da palestinesi; il controllo esclusivo è affidato all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), anche se l’esercito israeliano può accedervi in qualsiasi momento ed effettuare rastrellamenti (è accaduto recentemente a Jenin e Tulkarem);

B.   la zona B è limitata ad aree rurali prossime alla zona A; qui il controllo amministrativo è affidato all’ANP, mentre quello militare è prerogativa delle forze di sicurezza israeliane (IDF);

C.   la zona C, che costituisce oltre il 60% dell’intero territorio cisgiordano, è sotto il controllo esclusivo di Israele: comprende i migliori terreni coltivabili, cioè la principale risorsa di sussistenza dei palestinesi prima dell’occupazione nel 1967; la totalità delle risorse idriche; i confini e le cime collinari dove sono tutti gli insediamenti illegali dei coloni ebrei.

Dalla fine della guerra arabo-israeliana (1948-49) e sino all’occupazione del 1967, l’intera Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, era amministrata dal governo giordano che aveva rilasciato ai residenti palestinesi – in gran parte profughi dell’espulsione forzata (Nakba) operata da Israele all’atto della sua istituzione nel 1948 – certificati di proprietà su terreni e abitazioni. 

Israele non ha mai riconosciuto la validità di questi documenti, compresi quelli successivamente rilasciati dall'Amministrazione Nazionale Palestinese, in quanto considerava illegittima l'amministrazione giordana dei territori palestinesi, assegnati dalle Nazioni Unite a una nascente, nuova entità araba.

Paradossalmente, se considerava le forze armate giordane "occupanti" la Cisgiordania, dopo la Guerra dei Sei giorni nel 1967, l'esercito israeliano che aveva sostituito quello giordano non si definiva altrettanto "occupante", in quanto considerava la regione - storicamente e di diritto - appartenente al popolo ebraico. Così, alla definizione, universalmente riconosciuta, di "territori palestinesi occupati (OPT)" sosituiva quella di "territori contesi".

A partire dal 1967, parte del territorio della zona C cominciò a essere espropriato come zona militare o di sicurezza e poi, in parte, girato ai coloni degli insediamenti (tali zone espropriate comprendono anche quelle necessarie per le vie di comunicazione tra gli insediamenti e quelle a uso dell’IDF).

Sempre nella zona C, i fertili terreni venivano espropriati con un meccanismo semplice e collaudato: l’esercito e i coloni impedivano ai palestinesi - prevalentemente residenti nelle zone A e B - di accedere ai propri appezzamenti, i campi diventano incolti e la terra, giudicata inutilizzata, veniva dichiarata “State Land”, terra d’Israele.


Su queste terre abbandonate i beduini cominciarono a far pascolare il proprio bestiame, ma venivano regolarmente cacciati, con mille pretesti, dai soldati.

Negli ultimi 57 anni tutti questi espropri, essendo stati eseguiti da un'autorità militare in territori non appartenenti allo Stato di Israele, erano - per il diritto internazionale - illegittimi, soprattutto quando a usufruirne erano i coloni i cui insediamenti - per lo stesso diritto - erano considerati illegali. 

L'avvio dell'accatestamento intende modificare lo stesso status giuridico dei territori cisgiordani. La registrazione catastale di terreni ed edifici, oltre che delle aree a uso pubblico, certifica che questi beni appartengono a un territorio nazionale

L’accatastamento dei terreni trasferisce cioè la loro amministrazione dall’organizzazione militare occupante a enti governativi civili: così le terre palestinesi non sono più requisite per motivi di sicurezza, ma diventano legalmente territori integrati nello Stato di Israele; analogamente, i coloni degli insediamenti - e solo loro, in quanto ai palestinesi non viene riconosciuta da Israele né residenza né cittadinanza - possono rivendicare il proprio diritto legale al controllo e allo sfruttamento di questi terreni.

Ecco che si realizza nei fatti un’annessione in piena regola.

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Per approfondire la situazione pregressa al tema trattato qui, rimandiamo a un nostro post pubblicato il 6 dicembre 2021:

Israele: il confine non percepito

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