Israele: non possiamo occupare una terra che è già nostra
Il 30 dicembre 2022 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione su “le pratiche israeliane che colpiscono i diritti umani del popolo palestinese nei Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est” chiedendo alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja un parere consultivo sulle conseguenze legali di “occupazione, insediamento e annessione del territorio palestinese” da parte di Israele.
La risoluzione è stata approvata con 87 voti favorevoli (tra cui tutti i Paesi arabi, Cina, Russia, Turchia, Sudafrica e 6 Paesi UE, come Belgio, Polonia e Portogallo), 26 contrari (tra i quali Israele, Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia e 8 Paesi UE, compresi Italia e Germania); si sono astenuti 53 Paesi membri (tra cui India, Brasile e i restanti 13 Paesi UE, compresi, Francia, Spagna, Danimarca e Svezia) mentre altri 27 non hanno partecipato al voto.
Questa volta, Israele – che normalmente si limita a lamentare la parzialità delle decisioni assunte dalle Nazioni Unite e a disattenderne i contenuti, anche quelli vincolanti del Consiglio di Sicurezza – ha reagito con durezza all’approvazione della risoluzione.
Il primo ministro (eletto per la sesta volta) israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato in un messaggio video che: “esattamente come le centinaia di risoluzioni distorte approvate dall’Assemblea Generale dell’Onu contro Israele nel corso degli anni, anche questa vergognosa risoluzione non obbligherà in alcun modo il governo di Israele”
Ha inoltre ribadito la posizione israeliana sui territori conquistati con la guerra del 1967: “il popolo ebraico non ‘occupa’ la propria terra e non ‘occupa’ la propria eterna capitale Gerusalemme, e nessuna risoluzione delle Nazioni Unite può alterare questa verità storica.”
Il nuovo ministro degli Esteri, Eli Cohen, ha rincarato la dose su Twitter, bollando la risoluzione come “anti-israeliana” e che il voto “dà sostegno alle organizzazioni terroristiche e al movimento antisemita BDS [Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele] contravvenendo ai principi concordati delle stesse Nazioni Unite. Questa iniziativa rappresenta un altro errore commesso dalla dirigenza palestinese che da anni sostiene e fomenta il terrorismo e guida il suo popolo in modo tale da danneggiare gli stessi palestinesi nonché ogni possibilità di risolvere il conflitto. Questa risoluzione non cambierà nulla sul terreno e non ci impedirà di combattere il terrorismo, difendere i cittadini di Israele e promuovere gli interessi del nostro Paese”.
La Corte Internazionale di Giustizia, verosimilmente, come ha commentato la giornalista Noa Landau del quotidiano Haaretz il primo gennaio scorso, definirà il controllo israeliano su Cisgiordania e Gerusalemme Est da 55 anni come “annessione” di fatto e non già come “occupazione” che, per definizione, è temporanea; ma anche questo parere cadrà nel vuoto, dal momento che Israele non riconosce la giurisdizione della Corte dell’Aja e ha già ignorato nel luglio 2004 – come ricordato anche nella risoluzione ONU del 30 dicembre scorso – il suo precedente parere sulla costruzione della barriera di separazione, lunga oltre 700 km, eretta da Israele ufficialmente a protezione dei propri confini, mentre in realtà aveva il fine di inglobare parte dei quartieri arabi di Gerusalemme Est e una porzione della Cisgiordania occupata, dove si trovano la maggior parte degli insediamenti illegali dei coloni e la quasi totalità dei pozzi d’acqua. Secondo la Corte “la costruzione del muro da parte di Israele, la Potenza occupante, nei Territori Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme Est, impedisce gravemente il diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione.”
Il motivo del rifiuto di Israele di adeguarsi al diritto internazionale sia per quanto riguarda i territori occupati che il diritto all’autodeterminazione del popolo palestrinese è principalmente dovuto al fatto che considera la Giudea e Samaria – Yehuda ve Shomron, come gli ebrei chiamano la Cisgiordania – facente parte “da sempre” della Terra di Israele (Eretz Yisrael), la Terra promessa da Yahweh al popolo eletto che va “dal Giordano al mare” e che prima dell’insediamento degli ebrei – nella loro interpretazione - era abitata da pochi pastori nomadi arabi che vivevano nel deserto.
Da alcuni anni Israele ha anche proposto un’interpretazione diversa del diritto internazionale: i territori non sarebbero occupati, bensì “contesi”, in quanto Gerusalemme, la Cisgiordania e Gaza non facevano parte di alcuna entità nazionale nel 1967, quando furono conquistati dopo la Guerra dei Sei giorni; anzi, i territori furono “liberati” dall’illegale occupazione giordana ed egiziana.
Quando un territorio è “conteso” vanno confrontate le pretese dei due popoli contendenti – ebrei e palestinesi – e Israele ritiene di avere il diritto legale e storico di rivendicarne la sovranità rispetto ai palestinesi, cui non si riconosce neppure la connotazione di popolo. Ne consegue che gli insediamenti di coloni non sono illegali, non esistendo l’occupazione israeliana e che ogni resistenza palestinese all’occupazione sia considerata da Israele terrorismo.
Questa narrazione, abbastanza forzata sia sul piano giuridico che storico, è molto diffusa in Israele, particolarmente fra gli ebrei tradizionalisti ortodossi, i cui partiti sono oggi asse portante del nuovo governo in carica, ed è evidente nelle parole di Netanyahu e nel tweet di Cohen.
Sempre questa narrazione sembra essere alla base dell’approccio del governo tutto, e non solo della sua componente religiosa radicale, alla questione palestinese e alla possibile estensione di Israele sull’intera Palestina - il che è assai più grave - e prospetta un nuovo, sanguinoso conflitto per due popoli su una sola terra.